Obesità dal punto di vista psicosomatico
pubblicato su DOCTOR
a cura della dott. Dott. Luisa MERATI*
Medico chirurgo, coordinatore del Centro Medicina Psicosomatica.
Specializzata in psicoterapia, psicologia clinica, allergologia, immunologia, nefrologia; diploma di ipnosi (AMISI), diploma di psicoterapia a indirizzo psicosomatico.
Coordinatore sezione SIMP S. Carlo – Naviglio Grande.
In tutte le culture il cibo non è solo apporto calorico necessario alla sopravvivenza ma si riveste di molteplici significati affettivi sociali e culturali (cibo = amore veicolato in prima istanza dal latte materno, cibo legato alla particolare atmosfera dell’ora di pranzo in famiglia,cibo segno di livello sociale, cibo come segno di appartenenza ad un gruppo attraverso le abitudini alimentari).
Superata l’impostazione che vedeva nell’obesità la semplice conseguenza di una disfunzione endocrina o di una eredità di famiglia, si rileva dal resoconto preciso del consumo quotidiano abituale,che gli obesi sono tali perché mangiano troppo. Difficilmente gli obesi se ne rendono conto perché il reale problema dell’obeso è che non si regola sul meccanismo fisiologico della fame/sazietà-gli obesi non si basano sugli stimoli enterocettivi per definire la sensazione di fame ,ma su altro:la vista del cibo,la quantità disponibile,non riescono a valutare con esattezza se e quanto cibo hanno nello stomaco e tendono a prolungare la risposta oltre la cessazione dello stimolo.
Secondo Hilde Bruch “esperienze precoci sbagliate..avevano turbato in questi soggetti la capacità di riconoscere le sensazioni di fame e sazietà e di distinguere la fame, lo stimolo di mangiare, da altri segnali di malessere che nulla hanno a che fare con la privazione di cibo”.
Dall’inizio il bambino avverte i suoi bisogni in maniera piuttosto confusa e indifferenziata e non dispone degli strumenti per avanzare richieste distinte:piange per ogni stato di tensione. Occorre l’interazione dell’ambiente e le risposte di questo perché posa imparare via via a riconoscere i suoi bisogni e a proporli in maniera idonea a ottenere soddisfazione. Se le risposte dell’ambiente sono incongrue genereranno confusione nel bambino che non imparerà mai a distinguere uno stato di tensione da un altro e a esprimerlo in maniera differenziata.
Se la madre risponde con un’offerta di cibo ad ogni espressione di disagio si formerà un legame condizionato tensione/assunzione di cibo e il bambino ripeterà il meccanismo appreso mangiando in risposta a differenti stati di conflitto.
C’è differenza tra la relazione madre/figlio in cui la madre è sensibile ai bisogni del piccolo e risponde in maniera generica,rispetto alla relazione in cui la madre trascura le esigenze del bambino o tende a imporgli quelle che lei ritiene debbano essere, senza che vi sia corrispondenza reale o risponde col cibo per sua comodità per evitare risposte adeguate che sarebbero anche più faticose – in questo caso il bambino non riesce a strutturare la conoscenza di sé,e inoltre ha la sensazione di essere rifiutato, di non essere preso in considerazione per le sue richieste – tutto ciò è tanto più vero a partire dall’allattamento.
Le risposte inadeguate vengono date per negligenza o per eccessiva sollecitudine e privano il bambino della possibilità di identificare le proprie esperienze fisiche ed emotive, di acquisire la consapevolezza di essere una persona con confini precisi, bisogni e sensazioni proprie, cominciando a sviluppare su determinate basi la capacità di soddisfarsi.
Nei casi in cui l’obesità è presente fin dall’infanzia e costituisce un elemento importante nello sviluppo del bambino e nelle sue relazioni, si osserva che i bambini obesi sono molto immaturi ed esageratamente dipendenti dalla madre, poco attivi e poco inseriti tra i compagni.
Le famiglie dei bambini obesi risultano incapaci di svolgere la loro funzione-le tensioni e i conflitti interni convergono nel generare un livello di ansia tale da impedire ai genitori di lasciare che il figlio si sviluppi e acquisti autonomia.
Questi pazienti non si sentono padroni del loro comportamento, delle loro necessità e dei loro impulsi, hanno l’impressione di non possedere il loro corpo, di non avere dentro di loro un centro di gravità – si sentono invece sotto l’influenza e il controllo di forze esterne e agiscono come se il loro organismo e il loro comportamento fossero il prodotto dell’influsso e delle azioni altrui.
La patologia del comportamento alimentare è strettamente connessa con questo senso di mancanza di identità, di vuoto, di nullità.
L’inattività fisica sembra essere il fattore più serio e persistente per il mantenimento dell’obesità e l’indizio più grave di uno sviluppo abnorme della personalità. E non è che il bambino si muova poco perché è impacciato dalla sua mole:l’immobilismo ha origini profonde, deriva dall’incapacità di muoversi di moto proprio.
Nei casi di obesità di sviluppo l’adolescenza rappresenta un momento cruciale per il manifestarsi o l’evolversi del disturbo. La mancanza di autoconsapevolezza che il ragazzo si porta dietro dall’infanzia può mostrarsi ora in tutta la sua gravità, ostacolando l’ulteriore evoluzione o può esitare ora in obesità se un adeguamento passivo alle direttive familiari aveva mantenuto fino ad allora latenti i danni del deficit di autonomia. Nella pubertà avviene anche la maturazione sessuale, la comparsa dei caratteri secondari e per le ragazze le prime mestruazioni.
Spesso i pazienti obesi hanno difficoltà in campo sessuale e questa insoddisfazione secondo la Bruch non è causa della ricerca di cibo ma piuttosto conseguenza di una certa confusione sulla loro identità sessuale. Per i maschi si tratta della consonanza emotiva verso la madre o del sentimento di dover essere migliori del padre che con la pubertà si traducono nel timore di non essere abbastanza virili. Tra le donne invece è molto frequente il rifiuto della madre, della femminilità, del proprio ruolo.
Il desiderio di grandezza espresso a livello corporeo in termini di aumento di peso trova un correlato nella produzione fantastica. Gli obesi nascondono sogni di grande realizzazione di sé e la realizzazione delle grandi imprese è subordinata all’essere magri, se la dieta riesce devono dimostrare di essere adeguati alle proprie aspettative-l’incapacità di attenersi ad una dieta nasconde spesso il timore di mettere le proprie fantasie alla prova di realtà-a volte diete dimagranti troppo rapide portano ad uno scompenso psicotico.
Abbiamo d’altra parte l’obesità di sviluppo strettamente connessa con la distorsione globale della personalità e quella reattiva ad eventi spiacevoli.
Alcuni Autori distinguono tra obesità egosintoniche (ben accettate dal soggetto) ed egodistoniche (vissute negativamente).
Se non si giunge ad una soluzione dei problemi di fondo della personalità dell’obeso, la pura riduzione di peso risulta temporanea se non pericolosa.
Le possibilità di successo di una dieta sono subordinate al fatto che sia stata intrapresa per iniziativa personale e che si modifichi contemporaneamente la dinamica famigliare altrimenti il mangiare troppo può diventare esso stesso l’unico gesto di indipendenza e di ribellione creando un circolo chiuso.
Terapia convenzionale dell’obesità
Verte sull’associazione di varie forme di trattamento, che tuttavia hanno dato risultati scoraggianti se analizzati a lungo termine
Modificazioni comportamentali: tecniche di modificazione comportamentale sono state sviluppate e applicate. I risultati sono stati incoraggianti, ma le tecniche devono essere individualizzate e frequentemente rafforzate, richiedono personale specializzato e visite frequenti.
Spesso, e in gran parte inconsciamente, il medico di medicina generale manifesta sentimenti negativi nei riguardi del soggetto con obesità che non riesce a perdere peso o che riprende il peso perduto; tende ad inculcare un senso di colpa che interrompe la relazione terapeutica e spinge a rinunciare o a cercare nuove soluzioni. È facile allora cadere nelle trappole della “Diet Industry” che strumentalizza i bisogni dei soggetti obesi.
L’esistenza di fattori eziologici, solo in parte noti, porta invece alla convinzione che il soggetto con obesità non è il solo responsabile del problema e merita rispetto, dignità, comprensione, empatia, incoraggiamento, tempo e impegno professionale. Questo atteggiamento è essenziale per il raggiungimento dell’obbiettivo a lungo termine. È tempo di modificare il presupposto moralistico dei trattamenti che attribuivano alla sola volontà del paziente la soluzione del problema.
Il modello psico-biologico-sociale tiene in giusta considerazione l’importanza dei fattori psico-biologici e di quelli ambientali dove il soggetto è indifeso se non intervengono supporti sociali, psico-educativi, cognitivi e professionali.
L’eziopatogenesi, non ancora completamente conosciuta, è multifattoriale e legata a una complessità di meccanismi genetici, metabolici, neuroendocrini, psicologici, ambientali, sociali e culturali.
In sintesi l’obesità, la cui incidenza va progressivamente aumentando, è una patologia che causa un considerevolissimo danno in termini di conseguenze sull’apparato cardiocircolatorio e metabolico con scadimento significativo della qualità di vita.
Le terapie tradizionali non hanno avuto risultati a lungo termine e finora risultati incoraggianti si possono ipotizzare solo con una rieducazione delle abitudini alimentari.
Affiancare ad una dieta l’ipnositerapia, tecnica di medicina complementare efficace e risolutiva anche sul piano psicosomatico e delle relazioni con l’ambiente, è in grado di:
1) aumentare, per un tempo significativamente lungo, la compliance del pz nel seguire la dieta e nel modificare le sue abitudini alimentari;
2) riportare il paziente ad un B.M.I. indice di minor morbilità e mortalità;
3) migliorare la qualità di vita del paziente obeso, attraverso una migliore consapevolezza e stima di sé mediante un miglioramento dell’immagine corporea e mediante la miglior cenestesi acquisita mediante ipnosi.
L’insoddisfazione e la svalutazione del corpo, le preoccupazioni ossessive per la propria immagine, e aspettative irrealistiche affidate alla perdita di peso sono aspetti psicologici da valutare nello studio di un soggetto con obesità, sia in fase diagnostica che nel corso del trattamento.
Il tutto a livello di costi si concretizzerà in una riduzione del consumo calorico, quindi del B.M.I. con riduzione del ricorso a visite mediche, esami laboratoristici e/o strumentali e ricoveri ospedalieri.
Osservazione di alcuni casi di obesità/bulimia giunti all’osservazione presso il Servizio di Dietologia e il Centro ambulatoriale di Medicina Psicosomatica dell’Azienda Ospedaliera “San Carlo Borromeo”di Milano e trattati in gruppo con ipnosi oltre alla dieta ipocalorica personalizzata.
Sono stati ottenuti risultati promettenti dal punto di vista terapeutico, miglioramento delle condizioni soggettive cenestesiche, miglioramento della qualità di vita con minor ricorso a visite mediche ed esami laboratoristici e/o strumentali, ricoveri ospedalieri in strutture specialistiche ad indirizzo endocrino-metabolico.
L’approccio farmacologico tradizionale a questa patologia si è dimostrato insufficiente e inefficace a lungo termine, risultati più incoraggianti vengono dalla rieducazione del comportamento alimentare. La psicoterapia, che può affiancare e facilitare il compito del medico nutrizionista, a livello del S.S.N. non è praticabile oltre un certo periodo per rapida saturazione del n° degli operatori dei servizi.
È quindi auspicabile l’uso dell’ipnosi come tecnica breve mediante un protocollo di visualizzazioni.
Presentazione della tecnica
Riportata tra le più comuni terapie complementari in un recente articolo comparso sul British Medical Journal l’ipnosi è una tecnica antichissima.
Il fenomeno ipnotico come tale è sempre esistito, benché abbia conosciuto nel corso dei secoli denominazioni diverse. Le tecniche ipnotiche sono state usate dai sacerdoti egizi e greci.
Convenzionalmente si fa risalire la storia scientifica dell’ipnosi all’arrivo di Mesmèr a Parigi nel 1778. I suoi successi e insuccessi terapeutici sono stati ampiamente analizzati nella letteratura medica.
Wolberg (1972) avanza l’ipotesi che la più antica descrizione dell’ipnosi si trovi nella Genesi 2:21-22 “Allora il Signore Dio fece cadere un sonno profondo su Adamo che si addormentò, e mentre dormiva, Dio prese una delle sue costole etc […].”
Una definizione dell’ipnosi è data dal British Medical Journal: “l’ipnosi è l’induzione di un rilassamento profondo, con aumento della suggestionabilità e sospensione del giudizio critico.
Una volta che il paziente è in stato di trance ipnotica, gli vengono date suggestioni terapeutiche per incoraggiare cambiamenti nel comportamento o sollievo dei sintomi. Il razionale è che durante lo stato ipnotico la mente conscia presenta meno difese. Al paziente possono essere dati comandi post-ipnotici che lo rendono capace di autoipnotizzarsi (autoipnosi)”.
L’ipnosi può essere definita come “possibilità di indurre in un soggetto un particolare stato psicofisico che permette di influire sulle sue condizioni psichiche, somatiche, viscerali, per mezzo del rapporto tra il soggetto e l’ipnotizzatore. Tale particolare stato è caratterizzato dalla prevalenza delle funzioni rappresentativo-emotive su quelle critico-intellettive, da fenomeni di ideoplasia controllata e da condizioni parziali di dissociazione psichica”.
L’ipnositerapia deve essere imparata presso scuole che preparano gli operatori a stabilire quel “rapport” indispensabile per indurre lo stato di trance ipnotica, che, mediante opportune tecniche, è perfettamente ripetibile da operatori diversi sullo stesso paziente.
L’ipnosi è uno stato di coscienza particolare modificato da un dispositivo induttore ad opera di una persona (l’ipnositerapeuta) o dallo stesso soggetto.
Questo stato può essere definito come una dissociazione della coscienza che consente di accedere ad una maggior comunicazione con il proprio corpo ed il proprio psichismo.
Questo stato ci consente, grazie al fenomeno della transduzione della informazione, di influenzare i fenomeni fisiologici dell’organismo tramite il sistema nervoso autonomo, neuro-endocrino, immunitario, ed infine tramite il canale del sistema dei neuropeptidi.
Autoipnosi
“Ogni ipnosi è essenzialmente autoipnosi” sostengono Cheek e Le Cron (1968).
Nell’autoipnosi il soggetto riesce a entrare volontariamente in uno stato di trance ipnotica.
Essa ha lo scopo di sostenere indefinitamente la suggestione ipnotica prescelta. È una vera e propria trance indotta dal paziente per effetto dei comandi postipnotici dati dal medico.
In stati come l’obesità, il dolore, il tabagismo, si segue la prassi di istruire il paziente nell’autoipnosi e di prescrivergli che la pratichi giornalmente nell’intervallo tra le visite e di praticarla anche dopo la conclusione della terapia”.
Analisi della letteratura
Crasilneck è stato il primo a riportare nel 1955 la sua esperienza dell’impiego nell’ipnosi per aumentare l’appetito di pazienti gravemente defedati.
Anni dopo pubblica un rapporto in cui l’ipnositerapia è impiegata per trattare altri disturbi dell’alimentazione.
L’ipnosi aumenta gli effetti della terapia cognitiva comportamentale in patologie quali le fobie, l’obesità, l’ansia.
Successivamente numerosi autori sottolineano e confermano sulla base di ricerche cliniche, l’efficacia dell’ipnosi nel trattamento dell’obesità.
Per tutti questi autori la percentuale di successi (notevole dimagramento duraturo) è tra l’80 e l’85% il che conferma l’importanza di una terapia basata sull’ipnosi nel trattamento degli obesi. Tanto più che l’ipnosi agisce non soltanto per il dimagrimento ma ha anche notevole influenza sull’immagine del corpo.
Altre esperienze sono state condotte da Crasilneck e Hall nel 1976, e riportano l’80% di dimagramenti durevoli su 350 pazienti trattati con ipnositerapia, che hanno perduto in media circa 5 kg di peso corporeo.
Kroger valuta al 40 % la percentuale dei soggetti da lui trattati con risultato positivo.
In sintesi l’ipnosi può affiancare un approccio educativo alimentare nella terapia del paziente obeso/bulimico con mantenimento dei risultati a lungo termine tramite l’insegnamento dell’autoipnosi.
Tecniche ipnotiche nella terapia dell’obesità (da Hoareau-Masson 1994)
- PRESA DI COSCIENZA DELL’IMMAGINE DEL CORPO facendo prendere coscienza del corpo reale;
- CREAZIONE DI UN’IMMAGINE CORPOREA IDEALE mediante visualizzazioni in stato di coscienza ipnotico;
- RAPPRESENTAZIONE CONCRETA DELLE MODIFICAZIONI CORPOREE con percezione gradevole della sperimentazione di questo nuovo corpo;
- PROIEZIONE NEL FUTURO DEI BENEFICI SECONDARI che il nuovo corpo procurerà
RINFORZO DELL’IO.
Come usufruire dell’ipnosi nella cura dell’obesità
L’ipnosi viene praticata presso il Centro ambulatoriale di Medicina psicosomatica Ospedale san Carlo Borromeo con sedute DI GRUPPO a cadenza settimanale/quindicinale – ogni seduta dura 90 minuti-e fa parte di un ciclo di minimo 8 sedute.
La terapia è preceduta da un colloquio individuale e da tests psicodiagnostici per individuare il bisogno del paziente e verificare l’indicazione dell’ipnositerapia.
L’ipnosi induce uno stato di rilassamento profondo che favorisce l’attività immaginativa, il recupero delle risorse interiori, la predisposizione al cambiamento senza peraltro mirare alla sola rimozione del sintomo, almeno nel caso dell’obesità.
Si è visto infatti che le pazienti,sono per la maggior parte (90%) donne, arrivano ad una stabilizzazione del peso attraverso un recupero della forza dell’io che le porta al cambiamento, da cui consegue un miglior vissuto dell’immagine corporea, una perdita dell’importanza del cibo come valvola di scarico dello stress e come compensazione di altre istanze istintuali represse.
L’equipe è formata da due medici e due psicologi.
Bibliografia
Panconesi E. Lo stress le emozioni la pelle, Masson 1990.
Pancheri P. Trattato di medicina psicosomatica, USES 1984.
Bassi R. Introduzione alla dermatologia psicosomatica, Piccin 1977.
Cofrancesco E, Merati L. Reiki il tocco che cura, Riza Scienze 2002.